I monti che si affacciano sul piccolo specchio d’acqua della Duchessa sono sempre piuttosto gettonati, sia perché comodi da raggiungere
per noi romani ma più probabilmente perché all’interno di un territorio tutto sommato poco vasto è racchiusa una gran quantità di ambienti
floro-faunistici molto allettanti per gli escursionisti.
In ogni stagione ed in qualsiasi direzione la si attraversi, la Riserva Naturale Montagne della Duchessa riserva infatti ai suoi visitatori
delle giornate indimenticabili, sia se impegnati in un lungo ed impegnativo trekking invernale, sia se comodamente distesi a prendere un pò
di sole sulle sponde del lago con lo sguardo poggiato sulla corona di alte cime che rimangono innevate fino a tarda primavera.
Personalmente non ricordo più quante volte ci sono stato, ma ogni volta è sempre bello e lo è stato ovviamente anche in occasione di quest’ultima
uscita con gli amici Giacomo e Stefano che ancora hanno un pò di sentieri da percorrere da queste parti.
Il programma era salire al lago per la Val di Fua passare sul Morrone e scendere per la Valle della Cesa, quest’ultima meno frequentata rispetto
alla via di salita ma ugualmente interessante e tutto sommato più comoda, specialmente a scendere.
L’avvio dal borghetto di Cartore è sempre un bel momento, si può rimanere per un pò abbacinati dal sole che sorge improvviso dal fondo del piccolo
altopiano a ridosso delle case in pietra per poi immergersi in quella stretta forra che è la Val di Fua dove la penombra regna incontrastata in ogni
giorno dell’anno.
La salita in Val di Fua è sempre la stessa, impegnativa nella parte iniziale ma che ti porta sorprendentemente in quota in pochissimo tempo; ad
ogni cambio di direzione del sentiero si guadagnano metri su metri sino ad arrivare all’unico brevissimo tratto in piano in corrispondenza della
cengia di roccia che si attraversa con il prezioso ausilio di una catena (specie quando è ghiacciato) per poi riprendere a salire con pendenza
sostenuta fin verso i 1.500 dove si entra nel Vallone del Cieco, solare e più appoggiato.
Qui la valle si allarga disegnando una sorta di imbuto, la luce comincia a filtrare e dopo qualche centinaio di metri si esce definitivamente dal
bosco in vista del primo rifugetto con accanto una capannina del Parco con un pò di spiegazioni sull’ambiente circostante.
Anche quassù deve essere “piovuta” qualche risorsa economica che è servita per rimettere a posto le piccole casette disposte qua e là nella vallata
e che ora sono davvero carine, dei colori della pietra e dei coppi in terracotta, ed è forte la sensazione di trovarsi immersi in un alpeggio degno
di una cartolina: in questo tratto l’erba è sempre verdissima e tenuta perfettamente falciata dagli animali al pascolo, ed oggi il colore intenso fa
proprio un bel contrasto con la prima spolverata di neve che inizia a partire da quota 1.800.
L’ambiente attorno al lago è diviso in due parti, da un lato, quello esposto a sud, sembra che l’estate non sia ancora terminata mentre sul versante
opposto la prima neve si è insediata dando il segno della stagione invernale, e proprio nel mezzo di questo spartiacque immaginario stanno le acque
ferme del lago: se si sale al mattino molto presto e si arriva per primi è d’obbligo sedersi sulla sponda e registrare nelle memoria questo luogo
incantato, il sole ancora basso sull’orizzonte che disegna luci ed ombre nette, nel silenzio assoluto. E così facciamo anche noi in questa mattinata
solare, ce ne stiamo senza parlare per non turbare l’equilibrio perfetto che ci circonda.
Terminato il momento mistico della nostra escursione riprendiamo la consapevolezza delle mete da raggiungere e ci rimettiamo in marcia girando attorno
al lago per la sua lunghezza fino a prendere la traccia di sentiero che sale lungo un brecciaio in direzione della Selletta Solagne (da cui proseguendo
il sentiero porta fino al rifugio Sebastiani), aggiriamo alla base la modesta elevazione dell’Uccettù e siamo in cima in pochi minuti. Ecco, in verità,
oltre a superare i duemila metri l’Uccettù non è che sia proprio una grande cima ma trova il suo perché nel bel panorama che offre nella direzione del
Velino la cui piramide sommitale spunta da dietro la corona delle montagne della Duchessa che circondano a sud il lago; dal lato opposto sono invece i
monti attorno alla piana di Campo Felice.
Dall’Uccettù si scende al Vado dell’Asina da dove ha inizio la cresta che sale alla Cima ZIS; si inizia a salire con pendenza regolare mantenendosi
proprio sul filo con un bell’affaccio sulla vallata sottostante fino a portarsi proprio sulla verticale dei piccoli rifugi disseminati nella zona delle
Caparnie alcune centinaia di metri più in basso.
La Cima ZIS (piccola targa degli amici escursionisti di Zaini In Spalla che per l’appunto ha dato il nome all’antecima orientale del Morrone) è un luogo
molto piacevole con un notevole affaccio sull’anfiteatro glaciale del Morrone, senza dubbio la migliore prospettiva possibile. Anche qui sostiamo un poco
prima di avviarci verso la quota più elevata della giornata: si percorre sul filo della cresta l’arco roccioso che porta fin sotto ai massi sommitali del
Morrone, qui ci si tiene per tracce sulla sinistra fin sotto la verticale della cima e da li ci si inerpica a piacere fino ad intercettare un passaggio di
qualche decina di metri incassato tra le rocce che termina proprio di fronte al grosso sasso piatto che segna la quota di 2.141 metri.
La cima del Morrone è in realtà un pianoro abbastanza ampio disseminato di massi da cui la vista spazia in ogni direzione, in particolare è interessante
da qui la prospettiva verso il Murolungo cui fa da sfondo il Velino.
Dopo una lunga e meritata sosta riprendiamo la via del ritorno puntando al versante ovest della cima scendendo inizialmente tra massi e qualche pendio
d’erba reso un minimo insidioso dalla neve che, essendo poca, ha il dono di essere particolarmente scivolosa: non vi sono segnavia in questo primo tratto
(quanto meno non ne abbiamo visti) ma i percorso da seguire è intuitivo e poi ci sono alcuni piccoli ometti che nell’occasione abbiamo integrato con
qualche altro sasso.
Terminato il primo tratto di ripida discesa si procede su prati sino ad una evidente formazione rocciosa che sia aggira comodamente sulla destra per poi
immettersi nell’ampio Prato Lungo attraversato dal sentierino che sale da Corvaro (sicuramente una valida alternativa di discesa avendo a disposizione
due auto); si attraversa in discesa il Pratone della Cesa, si perde ancora quota sino a rientrare nella faggeta puntando nella direzione della piccola
radura che segna la testata della Valle della Cesa e che è ben visibile lungo tutta questa prima parte della discesa.
Mantenendosi nel fondo della vallata s’intercetta una vecchia mulattiera immersa nella boscaglia (alcuni segnavia) che lambisce il Bosco dei Faggi
Secolari (cartello indicatore) e che poi termina nel mezzo della radura in corrispondenza della sterrata che scende dalle Caparnie ed attraversa tutta
la Valle della Cesa sino a Cartore. Nel tratto più in alto la sterrata attraversa un bosco molto fitto ed in alcuni punti gli alberi ai lati della strada
si intrecciano a formare delle gallerie naturali: verdi ed ombrose in estate, dai colori caldi ed accoglienti in autunno, severe e silenziose in inverno
appena dopo una bella nevicata quando la Valle della Cesa diviene il percorso ideale per raggiungere il Lago della Duchessa con una memorabile ciaspolata.
La sterrata scende a tratti ripida con i tornanti via via più ravvicinati dopo di che con un lungo traverso, ormai quasi in piano, riporta all’inizio
della Val di Fua da dove siamo saliti al mattino e poi in qualche minuto ancora al borgo di Cartore. E così un’altra escursione ha trovato il suo
compimento tre le Montagne della Duchessa che ancora una volta non ci hanno deluso!!
Complessivamente siamo saliti per 1.400 metri ed abbiamo percorso poco meno di 18 chilometri attraversando ambienti assai diversi tra loro e tutti molto belli .. uscita vivamente raccomandata!!